Responsabilità medica e risk management durante l’emergenza sanitaria
Di Flaviano Antenucci, Coordinatore e docente del corso Responsabilità professionale e gestione del rischio assicurativo in ambito sanitario di Cineas.
Gli operatori sanitari, in questi giorni drammatici, si sono trovati a dover affrontare, dal punto di vista professionale, un nemico sconosciuto, con poche informazioni e pochi strumenti a disposizione.
Una tensione inimmaginabile, una battaglia impari, che affianca alle nuove paure (il contagio, la mortalità, l’assenza di protocolli di cura validi, l’infezione nosocomiale) le paure di sempre sul fronte della responsabilità medica e delle sue implicazioni.
Aleggia palpabile il timore che i propri comportamenti possano essere giudicati da chi capisce poco della materia e, in ultima analisi, la paura che nonostante ogni sforzo si possa arrivare ad essere condannati in una situazione in cui le cure sono tutte sperimentali e non ci sono risultati certi.
La gestione della emergenza, lo sappiamo, è cruciale, ed in questo frangente più di altri la medicina e la sanità pubblica hanno dimostrato di essere forti, preparati ed abituati a gestirla. Non a caso, tra le discipline e nell’organizzazione delle unità operative, la gestione dell’emergenza/urgenza è da sempre una specializzazione! Mai come in questo caso, purtroppo, è emersa l’assenza di un piano di gestione della crisi, o quantomeno una mancanza di coordinamento e di precauzione che ha reso meno efficaci e sicuri il controllo ed il modo di affrontare la pandemia sia in termini di “ponte di comando”, sia di approvvigionamenti, linee di comportamento, gestione delle informazioni. Abbiamo vissuto e stiamo vivendo ancora la prima pandemia, la prima crisi sanitaria globale della contemporaneità, in un mondo dove le distanze sono molto più brevi, e le persone – con il loro “carico” di virus, sono arrivate a noi 11 giorni prima delle prime informazioni sul nemico: una differenza sostanziale rispetto all’unico termine di paragone, e cioè l’Influenza Spagnola, che portò il suo enorme carico di morte con tempi molto più lenti e diluiti.
Parlare di responsabilità medica, in un contesto simile, diventa molto complicato ma estremamente importante. E non può sorprendere che almeno per qualche settimana molti abbiano pensato che l’unica soluzione possibile, di fronte a una situazione eccezionale, fosse nel campo della responsabilità medica una legge che imponesse degli “sconti”, forse addirittura uno “scudo” anch’essi eccezionali, modificando la comune regole che tutti – in modi e forme anche diversi – sono tenuti a rispondere di ciò che fanno.
Gli emendamenti che avrebbero dovuto modificare quelle norme, legate alle attività legate al Covid-19, e che prevedevano tutti delle forme eccezionali di contenimento o elisione delle responsabilità in campo sanitario, avrebbero dovuto insistere sul DL 18/2020 approvato in aprile, ma sono stati come noto ritirati perché ci si è resi conto che la soluzione a questo problema non poteva essere uno “sconto” di legge. Per molti e diversi motivi, gli stessi fautori di questa “torsione” del diritto responsabilistico legato all’emergenza si sono resi conto degli strascichi e dei rischi che ogni forzatura porta con sé (in ciò sostenuti persino da molte società scientifiche, a loro volta coscienti dei pericolosi risvolti di questo precedente), ed hanno opportunamente convenuto sulla creazione di un tavolo di confronto al quale siederanno tutte le parti coinvolte, insieme al Governo, per stabilire quali possano essere i passi per garantire serenità a medici ed operatori sanitari e, di conseguenza, all’intero settore.
La parola chiave di questa svolta è quindi “serenità”: una legge ad hoc che prevedesse forme eccezionali di aprioristica deresponsabilizzazione di una categoria avrebbe potuto sollevare non solo problemi di diritto (e qualche dubbio deve venire a tutti sulla sua liceità) ma anche e soprattutto non concorrere minimamente al ristabilire questa serenità anche rispetto alla popolazione dei pazienti, ed a quella di altre – molte altre – categorie che pure operano in questi tempi in situazioni emergenziali e di massimo stress. Non poteva essere considerata la strada corretta.
La responsabilità, soprattutto quando parliamo di professioni ambito sanitario, molto spesso, diverge da ciò che gli operatori percepiscono. In ambito penalistico, ad esempio, è facile rappresentare che un accertamento della responsabilità che porti alla condanna è evento rarissimo, per la verità. Uno “scudo” avrebbe reso (forse) ancora più rara un’evenienza già di per sé davvero poco ricorrente, ma non avrebbe evitato in alcun modo ciò che davvero toglie serenità all’operatore sanitario, che è il processo stesso, indipendentemente dal suo esito!
Per ciò che attiene alla molto più diffusa (e costosa) responsabilità civile e quindi risarcitoria, giova ricordare che in situazioni normali, la parte preponderante delle cure si inserisce in quella che potremmo definire “medicina del benessere”, cioè un complesso di prestazioni che mirano a garantire non la sopravvivenza, ma una qualità complessiva migliore della vita del paziente: i link di responsabilità quindi non sono legati all’errore, ma alle aspettative che si formano nel paziente stesso in relazione a questo miglioramento “atteso”. In questo momento, invece, ci muoviamo all’interno del contesto della medicina salva-vita, un settore in cui la responsabilità civile e penale è molto più sottile e molto meno frequente, e già il solo partire da questo presupposto (e gestirlo, comunicarlo, informare gli operatori e agire di conseguenza) potrebbe già contribuire di molto a costruire questa “serenità”.
Infine, un cenno alle esperienze che già possiamo considerare, perché pur ancora in emergenza, questa pandemia ed il mondo nel quale ci troviamo proiettati nell’attualità ha già molte settimane di vita. Il nostro modello organizzativo in sanità è un ibrido (dal ’79 dichiaratamente “nazionale”, ma diventato ogni anno di più operativamente ed economicamente “regionale”) che ha mostrato il fianco di fronte a questo virus, e pur mostrandosi capace di essere reattivo, ha di fatto prodotto modelli diversi per ciascuna regione, taluni efficientando l’ospedalizzazione, altri ricorrendo massicciamente alla territorialità, altri ancora agendo sulla compressione delle infezioni nosocomiali. Immaginiamo che – potendolo fare – un paziente opterebbe non per un modello o per un altro, ma preferirebbe vederli in atto tutti e contemporaneamente in maniera anche geograficamente omogenea. Mettere a sistema tutte le migliori strategie, in realtà, è possibile evidentemente solo con strumenti omogenei, condivisi e – soprattutto – coordinati.
Con queste armi che modificano – mitigandolo – il rischio di “errore”, o meglio di “inefficacia” del sistema, la questione inerente le responsabilità altro non consisterebbe che in una presa d’atto. Il Coronavirus CoViD19 e la sua pandemia sono la più scolastica e più ovvia delle cause di “forza maggiore”, che trovano già compiuta prova e declaratoria fina dal primo DPCM del 31 gennaio, che definiva questa tempesta sanitaria un’”emergenza nazionale”. Una constatazione che è già valida ed addirittura disciplinata per qualunque imprenditore si trovi a causa del virus nell’impossibilità ad adempiere (o di adempiere solo in parte) alle sue obbligazioni, che autorizza direttamente il MISE a certificarlo verso i suoi creditori. Se dunque il virus è dichiaratamente – e lo è – un caso in cui non ci si può giuridicamente aspettare sempre il corretto adempimento in tutti gli ambiti economicamente rilevanti, dev’esserlo senz’altro per chi, in questo momento, opera in ambito sanitario, in un momento in cui le migliori cure disponibili non possono evitare migliaia di “sconfitte” inevitabili.
La gestione del rischio è un’operazione concettualmente molto semplice, la cui complessità sta nel fatto che è necessario, ogni volta, rimettere in discussione il proprio metodo e utilizzare tutte le conoscenze. Un esercizio di interdisciplinarietà e di coordinamento di capacità, conoscenze e risorse, una regia che proprio in questo momento – nella sua carenza di fronte all’ignoto – dimostra quanto sia necessario l’utilizzo dei suoi strumenti, e vitale il suo perseguimento.