Daniela Marucci, Responsabile linea corporate UnipolSai

L’indagine annuale dell’Osservatorio permette di avere un quadro dell’approccio al rischio delle aziende italiane, di media dimensione, e consente di seguirne l’evoluzione nel tempo: si distingue dalle ricerche svolte sull’argomento a livello internazionale, contestualizzando il tema della percezione e gestione del rischio al panorama imprenditoriale italiano, caratterizzato da minori dimensioni e da una organizzazione, spesso, su base familiare.

Una prima importante evidenza è la progressiva crescita del livello di attenzione al tema dei rischi: il numero delle aziende che dichiarano di elaborare una mappatura dei rischi ha raggiunto il 67% del totale. Per contro, il numero delle aziende che discute delle tematiche connesse ai rischi nel CdA è ancora molto contenuto (circa 14%), a dimostrazione di una scarsa diffusione della cultura del rischio rispetto alle aziende di dimensioni maggiori e con una presenza internazionale.

Il passaggio per le aziende dal risk assessment alla risk governance è fondamentale per una gestione consapevole ed in grado di affrontare in modo tempestivo ed efficace le situazioni di crisi. Da non dimenticare che è obbligo, per l’imprenditore, dotare l’azienda di un assetto organizzativo in linea con la sua natura e dimensioni, ciò al fine di garantire la continuità aziendale a fronte di situazioni di crisi (Codice della Crisi dell’Impresa e dell’Insolvenza). Il governo del rischio è, inoltre, strettamente funzionale alla salvaguardia della reputazione, asset intangibile la cui importanza è sempre più rilevante.

Per l’organizzazione aziendale la pandemia è stata un importante banco di prova e colpisce come solo l’11,3% delle aziende intervistate fosse dotato di un comitato di crisi. Conforta, di converso, il dato sul numero delle aziende che con la pandemia ha rivisto la propria organizzazione facendo salire la citata percentuale al 53,2%. L’utilità del comitato di crisi è dimostrata dalla migliore performance delle aziende che ne erano dotate: il loro fatturato ha subito una riduzione significativamente inferiore rispetto alle altre.

Rispetto ai rischi rilevanti, le aziende intervistate continuano a porre ai primi posti, con un ordine inalterato rispetto al passato, l’infortunistica sul lavoro, la difettosità del prodotto ed il cyber risk. Seguono il danno ambientale, che perde punteggio, ed il meteo estremo. Una classificazione, questa, che evidenzia un orientamento molto condizionato all’osservazione dell’esistente, a fronte di un approccio, a livello internazionale, dei risk manager che individuano come rischi emergenti il cambiamento climatico, le malattie infettive e i rischi informatici.

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