Abbiamo avuto il piacere di intervistare il nostro presidente onorario Adolfo Bertani, che ha recentemente pubblicato un libro fotografico sulla sua lunga e brillante carriera nel settore assicurativo e della gestione del rischio. Come è nato questo progetto?

Il fotobook è nato durante il primo lockdown, avevo bisogno di fare qualcosa di tutto quel tempo forzatamente libero, così mia moglie mi ha spinto ad aprire quella valigia dove per mezzo secolo lei aveva raccolto foto, articoli, documenti di lavoro. Aprendo quella valigia ho riscoperto un mondo. Così ho trasformato tutti quei materiali in digitale e ne è nato “I miei 53 anni con il rischio”.

E’ stato interessante e gratificante ripercorrere tutta la storia delle tre aziende per cui ho lavorato, SAI, Zurigo e Cineas, quelli che io chiamo i miei tre amori professionali. Mi ha fatto sorridere ritrovare alcuni documenti, come per esempio il mio primo stipendio nel 1965, quando ricevevo 100.000 lire lorde al mese in busta paga.

E’ stata anche un’occasione per “ritrovare” tante persone che ricordo molto bene, come i vertici mondiali della Zurigo o Fabio Padoa-Schioppa, padre di Tommaso, che fu anche il Presidente di Cineas che mi ha preceduto. C’è, inoltre, Emilio Giannelli che da trent’anni disegna la vignetta in prima pagina sul Corriere della Sera con una verve umoristica sempre sorprendente.

Devo riconoscere che la mia vita professionale è stata estremamente positiva, è anche per questo che ho scelto la citazione di Primo Levi per aprire il libro: “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amore per il proprio lavoro costituisce la miglior approssimazione della felicità sulla terra. Ma questa è una verità che pochi conoscono”.

Una parte importante del libro è dedicata proprio al Cineas, quale ruolo vede per il Consorzio in questa epoca pandemica e post pandemica?

E poi c’è stato il Cineas ovviamente, il mio terzo amore professionale. Si tratta del periodo della mia vita di cui ho più materiale e quello in cui ho potuto contare sui validi collaboratori, anche se devo riconoscere di essere sempre riuscito a individuare persone di grande capacità per formare i miei diversi team. Un professionista può essere il migliore, ma non riuscirà a realizzare progetti importanti senza una buona squadra.

Nell’ultimo triennio ho potuto osservare il Cineas come da un punto di vista privilegiato esterno e interno al tempo stesso, come Presidente Onorario. Ho visto il Consorzio superare brillantemente la fase pandemica, in un momento che poteva trasformarsi in una grande crisi anche per la formazione, c’è stata una notevole capacità di adattamento, con una valorizzazione ancora più forte delle materie di gestione dei rischi e dei sinistri e una trasformazione della modalità didattica, per permettere ai percorsi formativi di continuare online. Bisogna considerare che le difficoltà non erano solo tecniche, ma anche emotive e culturali, sia da parte dei docenti che degli allievi.

1 maggio 1965: assunto in SAI

Penso che il Consorzio stia andando nella giusta direzione, coniugando il miglioramento continuo delle attività già esistenti con nuovi progetti formativi e non, con partnership di livello come quella con il Politecnico di Milano, con il Dipartimento della Protezione Civile e con Mediobanca per l’Osservatorio sulla gestione dei rischi nelle medie imprese.

Per quanto riguarda i professionisti del rischio, quali sono secondo lei gli strumenti fondamentali oggi rispetto al passato?

Riflettendo prettamente sulla figura del risk manager, pensavo al fatto che nel 1989 per la prima volta ho assunto una persona per occuparsi esclusivamente di gestione dei rischi, prima se ne occupavano marginalmente gli underwriter. Negli anni questa figura ha fatto tantissima strada, diventando sempre più definita, rilevante e, per le realtà più illuminate, addirittura indispensabile.

Ma sempre più vediamo come i cosiddetti “cigni neri” influenzano significativamente il nostro mondo, pensiamo al 2001 con l’attacco alle Twin Towers, al 2008 con il fallimento di Lehman Brothers, fino al 2020 con la ben nota pandemia.

Di fronte a questi eventi imprevedibili, che determinano cambiamenti di scenario improvvisi, con un impatto a livello mondiale, bisogna chiedersi se i modelli matematici e gli algoritmi creati finora siano sufficienti per gestire i cigni neri che in futuro potrebbero essere sempre più frequenti.

Ecco allora che la figura del risk manager, oltre a dover diventare una figura sempre più coinvolta nei consigli di amministrazione delle aziende e nei processi decisionali più strategici, deve abbinare alle sue competenze tecniche di individuazione, analisi, quantificazione e mitigazione dei rischi, altre abilità che forse saranno proprio la chiave che permetterà di fronteggiare gli imprevedibili cigni neri futuri. Sto parlando dello sviluppo e dell’approfondimento delle soft skills, quelle capacità e competenze non tecniche, come l’agilità decisionale, la capacità di trovare nuove soluzioni, l’intelligenza emotiva, che non si possono più considerare accessorie rispetto alla professione del risk manager, ma che devono essere considerati strumenti indispensabili per essere dei professionisti davvero completi.