Maria Adelaide Parisi, docente Cineas e del Politecnico di Milano

Abbiamo incontrato Maria Adelaide Parisi, docente Cineas del master Risk Management delle Infrastrutture ed esperta in Progettazione antisismica e materiali avanzati per la riabilitazione strutturale, che ha condiviso con noi dei preziosi dati sul rischio sismico in Italia. Nell’intervista si pone particolare attenzione alle mappe di pericolosità sismica; alle normative sul rischio sismico, evolutesi a partire dal 1975, e che ora si concentrano sull’uniformità della sicurezza nelle costruzioni; e sulla sicurezza nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali in regioni ad alta sismicità, come la Calabria, soprattutto per progetti come il ponte sullo Stretto di Messina.

In Italia esiste una mappa del rischio sismico? Chi sono gli enti o le istituzioni responsabili della compilazione e quali sono i criteri e le metodologie utilizzate per determinare le zone a rischio sismico elevato nel nostro Paese?
Esiste in Italia una mappa di pericolosità sismica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, che è il riferimento per ogni operazione di protezione dal rischio sismico. La mappa, che è stata redatta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), esprime i massimi valori di accelerazione orizzontale al suolo. Si basa su dati geologici e su un catalogo dei terremoti storici che per l’Italia è molto ricco di informazioni, avendo individuato e quantificato circa 2000 anni di terremoti sul territorio. La procedura adottata è estremamente complessa ed è sviluppata in ambito probabilistico. La mappa di riferimento per la progettazione si riferisce a livelli di terremoto con probabilità di superamento del 10% in cinquant’anni, che è la durata convenzionale delle costruzioni, secondo una convenzione internazionale. In parallelo, sono fornite anche mappe per altre probabilità di eccedenza. Tutti i relativi valori sono resi disponibili in un apposito database.
In relazione al rischio, occorre definire l’ambito di riferimento e gli obiettivi per poter includere, insieme alla pericolosità, anche le relative vulnerabilità ed esposizioni. Sono state sviluppate mappe o classificazioni di rischio da vari enti o gruppi – Protezione Civile, Consiglio Nazionale delle Ricerche, ReLUIS, Eucentre -, su diversa scala, con scopi informativi o scientifici o applicativi e amministrativi. Queste sono disponibili in genere in forma digitale online. Come esempi, ISTAT e Casa Italia hanno prodotto un sistema informativo sui diversi rischi naturali a livello comunale, utilizzando dati da fonti istituzionali, con cartografia in ambiente GIS. La piattaforma web “Sicuro+”, sviluppata in seguito a uno studio del rischio sismico richiesto dall’Unione Europea e svolto da Protezione Civile, Reluis ed Eucentre, fa riferimento all’edilizia pubblica e privata. Fornisce per il comune scelto informazioni su pericolosità, vulnerabilità degli edifici ed esposizione, ed infine sui danni attesi e sulle possibili vittime in un periodo di tempo di riferimento. È ideata per uso delle amministrazioni locali e per l’informazione dei cittadini.

Nel nostro Paese come si è evoluta la normativa in considerazione della vulnerabilità al rischio sismico del territorio?
Le prime norme “moderne” per le costruzioni in zona sismica furono emesse nel 1975 e riguardavano solamente il progetto di nuovi edifici. Dopo i terremoti disastrosi del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia nel 1980 emerse la necessità di adeguare il patrimonio edilizio esistente. La nuova versione delle normative, del 1986, incluse quindi indicazioni per l’adeguamento o il miglioramento sismico degli edifici, specificando i casi di obbligatorietà degli interventi di adeguamento. Queste prime norme si riferivano tuttavia a una mappa di pericolosità molto più limitata dell’attuale, in quanto alcuni territori non erano ancora stati classificati. Ciò non significa che le costruzioni dell’epoca o anche precedenti siano necessariamente insicure, in quanto buone costruzioni hanno risorse implicite per il terremoto. Tuttavia, queste non sono garantite né verificate. Un’importante evoluzione avvenne nel 2008 con norme tecniche calibrate secondo le nuove normative europee, gli Eurocodici, con un’ampia trattazione dell’esistente e con riferimento alla nuova mappa di pericolosità sismica, tuttora vigente con poche modifiche. L’obiettivo della norma è di fornire gli stessi livelli di sicurezza per tutte le costruzioni del territorio.

Vorremmo approfondire la situazione specifica della Calabria. Quali sono le criticità legate al rischio sismico in questa regione? Esistono particolari focus di attenzione nelle zone prossime allo Stretto di Messina per la realizzazione di un ponte in questa area?
La Calabria presenta livelli di sismicità tra i più alti del territorio nazionale, come è possibile vedere dalla mappa di pericolosità. Per la realizzazione di opere di particolare importanza è possibile, da norma, svolgere un’analisi della risposta sismica locale, con maggiore dettaglio e precisione rispetto alla mappa generale di pericolosità, attraverso prove sperimentali in sito e la loro elaborazione numerica. Le norme tecniche non trattano però le opere di carattere eccezionale, come il ponte sullo Stretto, per le quali si sviluppano apposite specifiche. Queste includono sempre l’analisi approfondita della sismicità locale e lo studio con metodi avanzati della risposta della struttura. Occorre considerare tuttavia che i ponti di grande luce sono in genere poco sensibili al terremoto come azione dinamica, in quanto sono caratterizzati da periodi propri di vibrazione molto lunghi rispetto al campo di interesse del sisma. Vi sono però altri fenomeni di origine tettonica che interessano la progettazione, ad esempio, lo spostamento relativo delle due sponde, che avviene lentamente ma assume valori significativi sul lungo periodo, modifica nel tempo la distanza tra le pile. Deve essere quindi messo in conto nel progetto di un’opera che si intende durare molto a lungo, quale il ponte sullo Stretto.

 

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